LUCIA NEL BOSCO CON QUELLE COSE LI’

LUCIA NEL BOSCO CON QUELLE COSE LI’ 

liberamente ispirato a Lucie im Wald mit den Dingsda
di Peter Handke
drammaturgia e regia di Francesca D’Este
movimenti coreografici e aiuto regia di Elisabetta Rosso
con Simonetta Dadamo e Francesca D’Este
scenografia e luci di Giovanni Milanese
costumi di Demis Marin

Una bambina che non vorrebbe chiamarsi come si chiama, e neanche avere l’età che ha, molto molto orgogliosa della sua potente e bellissima mamma e imbarazzata da un babbo, un po’ afasico e un po’ misterioso. Un babbo che una volta neanche lui aveva quel nome lì che ha adesso, perché viene da un’altra città, da dove è dovuto fuggire. Che ci va a fare nel bosco? E cosa sono quelle cose che porta a casa? E perché non va d’accordo con la mamma? Mica se le fa Lucia, queste domande. Ce le facciamo noi, a sentire il racconto di Lucia, che – essendo una bambina – ci dipinge le cose come le vede lei. Ne viene fuori un quadro ben dipinto ma forse un po’ inquietante, dove a fatica, si ricongiungono opposti. Peter Handke scrive una storia per sua figlia, e ne viene fuori una piccola riflessione sul malessere causato agli innocenti quando si passa, per motivi politici o ideologici, da un clima di armonia a uno di odio e di diffidenza – un po’ come sarà successo ai bambini bosniaci o del Rwanda di fronte alle incomprensibili e improvvise rivendicazioni etniche degli adulti. Lucia non comprende come nasca questa follia collettiva. Guarda il mondo e costruisce la sua fiaba.

Avevo in mente questo testo da tempo e mi piaceva per la sua ambiguità: una situazione irregolare senza che mai venisse detto chiaramente perché. Ed è evidentemente il punto di vista di chi non capisce, di chi deve ricostruire una realtà percepita per frammenti. Nel clima sociale di intolleranza dilagante in cui viviamo, generato da mille motivazioni diverse, non solo razziste, mi è sembrato che questo testo mostrasse il malessere degli innocenti e delle nuovissime generazioni, che di questa intolleranza rischiano di fare le spese. Non finirò mai di ringraziare il mio gruppo di lavoro: la loro disponibilità, in tempi di crisi, è stata fuori dal comune. Francesca ’Este

Non c’è storia che si possa progettare in anticipo. Grazie a Dio. E non c’è storia che si racconti da sola. Purtroppo. Peter Handke                                                                                                                  

Foto di Luca Giabardo

Rassegna stampa

Un racconto ambiguo e a tratti oscuro, una storia continuamente in bilico tra fantasia e realtà. A raccontarla è Lucia – che non è veramente Lucia – una bambina di dieci anni – o forse sette – che gioca a raccontare la sua vita come vorrebbe che fosse mentre vive una realtà che la costringe a fantasticare. La telecronaca di un trauma infantile narrato in terza persona. Uno sdoppiamento che nasce dalla impossibilità di aderire completamente alla realtà che la circonda e che non trova risposta nelle sue mille domande. (…) La vita clandestina del padre e la serietà militare della madre portano la quieta vita familiare a cadere in un clima di disagio e negazione, fino alla condanna del padre, all’abbandono e alla disperata promessa di salvezza della figlia. La messa in scena di Francesca D’Este si focalizza sullo sdoppiamento della protagonista nel passaggio tra realtà e finzione fino ad arrivare allo scontro interiore tipico della preadolescenza. Le coreografie di Elisabetta Rosso guidano le due interpreti (Simonetta D’Adamo e la D’Este stessa) in un continuo gioco di sguardi e rincorse, gesti e giochi, reinventando il mondo magico in cui corre la fantasia di Lucia. (…) Questa Nave si conferma, ancora una volta, coraggiosa e piena di entusiasmo.

 Camilla Toso, http://www.iltamburodikattrin.com

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