Il foyer è davanti all’ingresso principale, insomma davanti alle vetrine di abbigliamento low, molto low, cost. I posti non sono numerati: si entra per appello seguendo l’ordine delle prenotazioni, e al posto della maschera c’è una guardia giurata. Tutto così insolito, così diverso. (…) Il centro è chiuso, ma appena l’ascensore si mette in movimento, la voce meccanica – sesto piano, primo piano, terzo piano – scatta in automatico; tutto è così straniante che sembra di vedere se stessi dall’esterno, i gesti quotidiani privati del loro contesto hanno un altro ritmo, un altro suono, un altro odore. E nel breve viaggio di quell’ascensore e delle sue tappe – quindici minuti, forse anche qualcosa di meno – accade lo stupefacente teatro delle “incursioni poetiche di individui per ascensore in movimento” ai quali l’autore ha dato il titolo di “Il vaso di Pandora”. E’ poesia scelta tra la più bella e meno banale, di ogni epoca e latitudine, portata in ascensore, tra i suoi passeggeri, trasformata in vero teatro, sceneggiata con intelligenza, interpretata con sapienza da un gruppo di giovani attori per nulla turbati dall’assurdità del luogo. Un teatro così perfettamente congegnato da raggiungere picchi di comicità: se un attore entra sulla scena dell’ascensore con un fragoroso “buonasera”, la reazione degli spettatori è tale e quale quella del normale passeggero di tutti i giorni, quasi di imbarazzo nella necessità della risposta, che la buona educazione impone ma che rischia di creare intimità in un perimetro ristretto dal quale ci si augura solo di uscire al più presto. Una drammaturgia minuscola ma alla quale nulla manca, nemmeno il colpo di scena finale. Sembrava solo una provocazione, invece dalle sue “incursioni” l’ideatore e regista Antonino Varvarà è riuscito a trarre un piccolo gioiello, e così facendo ha anche chiuso il cerchio con i ricordi di se stesso bambino, che andava nel grande condominio di Palermo dove il nonno era portinaio, e riceveva da lui un sacco di spiccioli per cambiare le monete degli inquilini: per mettere in movimento l’ascensore servivano le cinque lire, e lui si sentiva importante per quel ruolo assegnato.
Anna Sandri – La Nuova Venezia
Chi ha sempre considerato il centro commerciale un luogo senz’anima dovrà ricredersi (…) Tutti in ascensore. Un palco insolito per uno spettacolo site specific con continui passaggi di livello e una ricca carrellata di personaggi e poesie che diventano storie in un istante. I versi non vengono declamati ma vissuti dagli attori, protagonisti di brevi siparietti interpretati a pochi centimetri dal pubblico (…). Ed è così che, con pochi mezzi e buone intenzioni, il “viaggio”nell’ascensore di un centro commerciale può diventare qualcosa di completamente diverso.
Francesca Boccaletto – Il Corriere del Veneto
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